Simbolo del contatto tra il divino e il terreno, tra il finito e l'infinito, il monte è in Giovanni della Croce la meta di un pellegrinaggio verso una liberazione: quella dell'anima dai pesi e dalle forze che la separano da Dio, dal bene, dalla gioia. Si tratta di una salita impervia ed essenziale che impone sacrificio estremo: un lavoro di spoliazione totale che l'anima deve compiere. Il pellegrinaggio dura tutta la notte, nell’oscurità e come è scritto nelle Scritture il buio è uno stato e un luogo: è quello che contempla Gesù nella totale oscurità della morte: “Non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, nè lascerai che il tuo Santo veda la corruzione” (S. 15,10).
L'oscurità dell’anima, o notte dello spirito, è uno stato spirituale nel quale si perde il senso delle cose religiose. Sembra che non si ha più fede; non si sente il piacere a pregare; è una aridità totale. Si ha l’impressione che si stia perdendo il senso delle cose. Ciò che si fa perde tutto di valore. Si ha la sensazione di essere condannati, e abbandonati da Dio. Le tentazioni aumentano. La forza di vincerle diminuisce.
Ma alla fine del percorso c’è il premio: la luce della fede che ha sostenuto i passi dei pellegrini, anche di quelli che si sono fermati lungo il cammino per stanchezza fisica o che hanno fatto solo una parte del percorso.
"Sempre più vediamo che i Santuari sono una fonte di vita e di fede nella Chiesa universale... Ci vanno soprattutto i giovani e pellegrinando a piedi per giorni, vivono nell'atmosfera della preghiera, dell'esame di coscienza, quasi riscoprono la loro coscienza cristiana di fede..." Papa Benedetto XVI SCV, 22/02/2007
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