La regina del lago
Di Luigi Colucci
Racconto quinto classificato 4° edizione Amarcord.
Era da qualche giorno ormai, che la rugiada fluiva piano dalle foglie di melissa agli steli d’ erba, ad ogni alba, tra quei monti. Le mantidi attendevano immobili tra le ginestre il primo scirocco e con esso, qualche boccone nascosto dal vento. Era di nuovo estate nei pressi del grande lago, e come ogni anno il buon vecchio Aremia, si accingeva a trascorrere qualche giornata in compagnia della sua vecchia canna da pesca, che, dalla ghiera rovinata all’ alto dei suoi anelli torti quante storie avrebbe potuto raccontare, di carassi e cavedani enormi, di tinche instancabili e sfuriate senza fine…di giorni in cui la vita era semplicemente vita.
Era giunto così il tempo di mantener fede ad una vecchia promessa fatta in tempi più nevosi, dinnanzi ad un camino fumante, ad un giovane che reggeva sulle stanche ginocchia, Simon, il nipotino che il natale precedente gli aveva chiesto di portarlo con se quando d’ estate sarebbe venuto a fargli visita dalla città. Con il grano ormai dorato, e la mietitura prossima dei tralci il vecchio Aremia decise di trascorrere due giorni in riva del vecchio lago con il piccolo Simon, durante i quali gli avrebbe insegnato tutto ciò che sapeva del grande lago, dei suoi abitanti e delle magie che riservava a chi sapeva guardare oltre la superficie argentata nei tramonti dipinti.
Simon dal canto suo era curioso di conoscere la verità su tante storie che il nonno gli aveva raccontato, e di osservare con i propri occhi cosa ci fosse di tanto magico in un posto senza cemento, senza auto, senza gente che va e che viene, senza l’ abitudine di una console con cui giocare o un cellulare da rispondere…”Era un ometto ormai” gli ripeteva la nonna dato che quell’ anno non indossava più quel fastidioso grembiulino azzurro delle elementari, e così avrebbe avuto la possibilità di rispondere a tute le sue curiosità: “Cosa c’ era di divertente nel pescare?”
Il silenzioso canto del vento tra i crochi dei prati e fronde dei pini volgeva al termine, il solo aveva superato da qualche ora lo zenit e si udiva sulla sponda del lago solo il tonfo delle palle di pastura che il vecchio Aremia lanciava in acqua. Simon reggeva la canna e trepidante cantava al nonno la canzone.”quando abbocca?”. Il vecchio per conto suo iniziò tentando di insegnargli l’ arte della pazienza, poiché lì in riva al lago il tempo scorreva molto più lentamente che nella città in cui il giovane viveva, lì in riva a lago di tempo non aveva niente da perdere.
Il galleggiante vibrava ad ogni increspatura dell’ acqua e mentre Simon non riusciva a capire cosa ci fosse di bello in quel gioco noioso, il nonno si accingeva ad accendere il fuoco con qualche vecchio ramo di carpino raccolto qua e là lungo la riva, per preparare a breve, un arrosto fumante con qualche pezzo di formaggio di capra che gli aveva dato la nonna prima di partire.
D’un tratto, mentre il vecchio soffiava sui tizzoni preparando la brace, la frizione del mulinello cominciò a fischiare e il piccolo Simon, con un urlo di gioia attirò l’ attenzione del nonno che immediatamente corse a dargli istruzioni. La canna era tutta piegata il bambino tirava più che poteva, allora il vecchio cercò di calmarlo tenendo le mani su quelle del nipotino che reggevano la canna a mò di spada. “Dai lenza” diceva il vecchio Aremia, “e vedrai che se avrai pazienza si stancherà!”. Simon, il cui cuore batteva ancora a mille cercava di dare retta al nonno, ma l’ emozione di cui era preda lo rendeva schiavo, mai nulla prima di allora lo aveva catturato così, voleva tirar fuori quel pesce a tutti i costi! Lentamente il pesce si avvicinò alla sponda e il vecchio Aremia lo guadinò al volo giusto un attimo prima che il pesce si slamasse. “Evviva!” gridava il piccolo Simon, “Che pesce è questo nonno?” E il vecchio con fare tranquillo, gli disse”questa è una carpa, la regina del lago..” .Il giovane guardava quel pesce magnifico, lungo come un suo braccio e gli sembrò enorme, l’ emozione che aveva provato era stata tanta da lasciarlo senza fiato e, lentamente, la sua mente libera dall’ adrenalina si svegliò nel vedere il nonno rimettere il pesce in acqua: “Cosa fai nonno? Perché la liberi?” e il nonno fermatosi all’ istante lo chiamò a se e gli disse “apri la nassa così la lasceremo li a riposare!”
Saimon non capiva, ma obbedì immediatamente all’ ordine del nonno e una volta sistemata la nassa e la carpa al suo interno, i due si sedettero vicino al fuoco.
Le stelle erano sopraggiunte silenziosamente. Dal fondo del bosco i grilli di campo mostravano con il loro canto l’ amore verso il cielo, mentre dal lago le rane gracidavano alla luna arcaiche poesie. Il piccolo Simon pervaso dalla curiosità, tormentava il vecchio con mille perché, mentre Aremia ormai cotta la carne, gliela pose dinnanzi insieme ad un tozzo di pane e formaggio e ad un fresco bicchiere di acqua di fonte. Per quale motivo il nonno aveva chiamato regina quel pesce? E perché ora che il fuoco era così ben caldo voleva liberarlo anzichè….
Il nipotino e il nonno presero a mangiare e finalmente Aremia decise di rispondere alle mille domande del bambino! “Ti racconterò una storia!” disse, “una storia di quando io ero giovane e avevo qualche anno più di te….”
“A quel tempo il lago era molto più bello di come lo vedi adesso, d’ inverno nevicava tanto e quando arrivava l’ estate l’acqua lambiva il bosco. Lungo il lago non c’ erano strade asfaltate ed io scappavo dal calzolaio dove mio papà mi aveva mandato a lavorare, non appena potevo. Afferravo la canna che poco fa stringevi tu fra le mani e correvo a perdi gambe, tra i prati giù dalla collina per raggiungere il lago e pescare. Quel giorno, un giorno di giugno come oggi, ricordo che mi appisolai in riva all’ acqua con la canna in mano dopo aver arrostito qualche pesce ed essermi saziato lo stomaco. Non ricordo cosa sognai, ma ricordo solo che d’ improvviso sentii tirarmi la canna dalle mani, aprii di colpo gli occhi e il sole al tramonto di fronte a me mi accecò, non riuscivo a vedere niente tutto ciò che ricordo e che mi sembrava che la canna mi si rompesse in mille pezzi. Ero sdraiato a terra di pancia e non riuscivo ad alzarmi reggevo la canna e cercavo di tenere gli occhi aperti, ma ci riuscivo poco dato il riflesso fortissimo del sole sul lago…quel momento sembrò interminabile e proprio quando ero convinto che il filo e la canna cedessero, la tensione cessò di colpo e dagli occhi semi aperti vidi a riva dinnanzi a me una sagoma, ma non era quella di un pesce, ma quella di una donna, una donna bellissima dai lunghi capelli ocrei cristallini, vestita di ori e di argenti, splendea dinnanzi a me del riflesso del sole. Con voce spirante mi disse d essere la regina del lago, ed io impietrito da tale visione restai immobile con gli occhi sognanti, ad ammirare tanta bellezza sino a che l’ ultimo raggio di sole non sparì dietro il monte, la dove finisce il grande lago, e con quel raggio, nel momento stesso in cui i miei occhi furono liberi dall’ ostaggio del sole, lei scomparve.
Mi alzai e incredulo mi avvicinai all’ acqua per cercarla, ma lei era svanita nel nulla. Tra le mani reggevo la canna e controllando la lenza notai che ere intatta, con l’ amo lì chiuso nell’altra mano ma senza più l’ esca. Cercai di convincermi di aver sognato, che era tutto frutto della mia fantasia, ma come potevo? La canna aveva tirato per davvero e l’ esca ere sparita e poi, come potevano i miei occhi aver sognato una donna così bella?
Da quel giorno non ho più ucciso un solo pesce e sono sempre tornato qui sulle rive del grande lago con la speranza di rincontrarla, di rivederla, ed ogni volta che ho pescato una carpa rivedevo la canna piegarsi come quel giorno, riprovavo le stesse emozioni, e ogni volta lasciavo libera quella regina, pensando col cuore colmo di gioia che quella fosse la mia Regina!”
La nottata era ormai trascorsa e il piccolo Simon era rimasto lì davanti al fuoco ad ascoltare saturo di attenzione, la storia del nonno. Non aveva ben capito cosa il vecchio Aremia avesse voluto dirgli, ma comprese le sue emozioni paragonandole a quelle che aveva provato pescando quel grosso pesce la sera prima, così, mentre i primi raggi di sole solcavano gli occhi stanchi del vecchio Aremia, tra le rughe di quel viso che aveva visto già mille albe, Simon fece per aprire la nassa, afferrò con delicatezza la carpa e le diede la libertà, così sotto lo sguardo terso del nonno, Simon prese la canna, afferrò l’ amo e infilando la mano nel vecchio barattolo da caffé dov’ erano i vermi, ne prese uno e lo appuntò sull’ amo come aveva visto fare al nonno, aprì l’ archetto e lanciò sbilenco l’ esca e il galleggiante, si sedette con la canna in mano e, tra la rugiada del mattino e lo scirocco che tornava placido non sussurrò più neanche una parola…
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