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Ci sono anche loro... alla masseria

Romeo il romantico Agrippina l'imperatrice

Oche!

Le mie oche hanno un nome, come tutti alla Masseria, guardiana per eccellenza la scura Tatiana con l'harem dei tre maschi, Leandro, Learco ed il prode Leonida. Così un anonimo autore latino descrive il sacco di Roma sventato da queste magnifiche creature: « Galli de Alpibus in Italiam descenderunt et totam regionem ferro ignique vastaverunt. Mortis terror hostiumque formido omnes urbium incolas repente invaserunt. Statim contra ingentes barbarorum copias consul cum duabus legionibus a romanis missus est sed Galli consulem eiusque legiones petiverunt et acri proelio apud Alliam flumen vicerunt, postea Romam accesserunt. Tum Romani, formidine capti, Urbem reliquerunt et cum senibus, mulieribus liberisque in silvas confugerunt. Barbari sine periculo ad Urbem pervenerunt et Capitolium, Romae arcem, obsederunt. Iam Galli arcis moenia ascendebant, cum repente vigiles anseres [le oche] acribus clangoribus Marcum Manlium, Capitolii custodem, e somno excitaverunt. Tum Manlius Romanos milites vocavit, qui ingenti vi pugnaverunt et Gallos reppulerunt: itaque Capitolium a barbarorum insidiis liberatum est et Roma anserum clangoribus servata est. » (IT) « Dalle Alpi i Galli discesero in Italia e misero a ferro e fuoco tutto il paese. Immediatamente lo spavento dei nemici e il terrore della morte presero gli abitanti delle città. I romani inviarono subito, contro le folte schiere di barbari, il console con due legioni, ma i Galli li raggiunsero, li sconfissero in un'aspra battaglia presso il fiume Allia e si diressero verso Roma. Allora i Romani, terrorizzati, abbandonarono la Città e si rifugiarono nei boschi con i vecchi, le donne e i figli. I Galli raggiunsero senza pericolo la Città e posero l'assedio al Campidoglio, la rocca di Roma. Stavano già scalando le mura quando con grandi strepiti le oche, ben sveglie, destarono il guardiano del Campidoglio, Marco Manlio. Allora Manlio chiamò i soldati romani, che combattendo con grande energia respinsero i Galli: così il Campidoglio fu liberato dal pericolo dei barbari, e Roma fu salvata dagli strepiti delle oche. » L'OCA NELL'ANTICHITA' La domesticazione dell'oca è senza dubbio antichissima e risale perlomeno all'epoca delle palafitte. Prime tracce sembra sino da datare intorno all'epoca neolitica, dal VI al V millennio prima della nostra era. Si deve poi aspettare fino al 2500 a. C. per ottenere dati dai giacimenti archeologici cinesi (oca domestica derivata dalla Cignoide). Un addomesticamento separato dell'oca sembra ebbe luogo anche in Egitto intorno al 1500 a. C.. Monumenti egizi portano scolpite effigi di questi animali sacri a quanto pare, per la loro religione (Toschi A., 1971; A.A.V.V., 1996). Dall'Iliade e dall'Odissea sappiamo che i greci allevavano oche ai tempi di Omero. Plutarco ne fa un grande elogio e Plinio ci tramanda la leggenda delle "oche del Campidoglio", quando lo schiamazzo delle oche sacre a Giunone raccolte nel recinto del tempio di Giove con il loro gridare avevano destato le sentinelle romane preannunciando l'assalto notturno delle truppe galliche di Brenno (388 a. C.). In riferimento a questo avvenimento parlò pure Virgilio e, riprendendo questi, Carducci. Alle penne d'oca, poi, è legato un profondo significato culturale: furono infatti usate per scrivere almeno mille anni prima d'essere sostituite da strumenti più moderni (Savorelli G., 1927, 1928).

E di nuovo arte con Albino Perillo

Zio Federico (40x60) Abbandono (40x60) Natura morta con paesaggio (60x80) Paesaggio irpino (50x70)

Notte di Luigi Colucci

NOTTE


Come bruma
avvolge i sogni
incanta gli occhi
nel tepore di un abbraccio

Come carezza
respira lieve
tra volti distanti
silenziosamente avanza

Come muta
sussurra parole
alle orecchie di chi giace
tra protette lenzuola

Come estranea
accompagna i passi
tra lampioni sbiaditi
le orme degli insonni

Come notte
questa notte,
lanci nel celo un pugno di sabbia
creando stelle

ancora una notte
questa notte,
non sai cosa fartene dell’immortalità
e giochi con l’anime come fossero dadi

questa notte
l’ultima notte,
lasciati morire nell’abbraccio dell’alba
che ci dia la forza di viverti ancora…

Luigi Colucci

(Nella foto in alto perigeo lunare nel lago Dragone)