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Catskill fly fishing museum of N.Y.






Il Catskill Fly Fishing Museum of New York espone quest'anno le mosche artificiali costruite dai più bravi costruttori Italiani. La Campania e il Mosca Club Campania sono rappresentate dalle mosche costruite da Luigi Colucci.

ATTENTI ALLE PAROLE

Questo post potrebbe apparire contraddittorio, rispetto alle linee del DECALOGO ECOLOGICO, che fanno bella mostra scorrendo in basso a destra, ma se ci fermiamo un momento a pensare non è proprio così: per questo c’è il richiamo ATTENTI ALLE PAROLE.

Una di queste, in voga negli ultimi giorni ed invocata da più parti è: SOLIDARIETÀ; la chiede il Governo alle Regioni per affrontare in termini umanitari il problema degli sbarchi a Lampedusa; la chiede la Provincia di Napoli all’Alta Irpinia per l’individuazione di una discarica (chiamiamo per nome le cose ), per non affondare (in attesa di miracolose ed iperboliche realizzazioni) sotto il peso di tonnellate di rifiuti, loro da stessi prodotti. Potremo ancora continuare l’elenco (oramai Saviano ha fatto scuola) ma è sufficiente, perché nel secondo caso, la solidarietà non ci azzecca proprio un bel niente.

Non fosse altro per le ragioni che si adducono, che a parere mio sono deboli, per non dire risibili e soprattutto per chi adesso le sostiene, quando fino a poco tempo fa argomentava l’esatto opposto.

Quando occorreva puntellare l’immagine di una nuova (si fa per dire) classe dirigente regionale si è fatto ricorso allo slogan del “saper affrontare e risolvere finalmente l’annoso problema dei rifiuti in Campania”, urlando ai quattro venti la soluzione della “provincializzazione”. E avanti tutti, a vari livelli istituzionali, col verbo taumaturgico del finalmente adesso è tutto a posto.

Solo che in assenza di elezioni non si è deciso alcunché, almeno per la provincia di Napoli, galleggiando forse in attesa di una soluzione davvero miracolosa, che ovviamente non può arrivare. Adesso con elezioni comunali, referendum ambientali e immagine in calo del “nuovo avanzato” si scopre che la legge, prima decantata ed esaltata da più parti, come il primo passo della lunga marcia in vista della soluzione finale, non va più bene, e cioè che il cardine della provincializzazione (che doveva responsabilizzare le comunità locali) non è applicabile. Si invoca la superficie esigua e la densità della popolazione come ostacoli alla buona applicazione della normativa.

Ma una domanda spontanea non viene a chi fa appello ora alla solidarietà: questi due dati, popolazione e superficie erano già noti due anni fa oppure no? E se erano noti, come mai tutti plaudenti con clangore di trombe e giannizzeri, hanno salutato la l’adozione del provvedimento? Si aspettano risposte.

Ovviamente non ne arriveranno. Ma, come mai quello che adesso viene invocato a sfavore (superficie e popolazione) quando invece si tratta di ottenere risorse e benefici diviene improvvisamente un criterio premiale? In questo caso gli altri allora potrebbero chiedere una diversa ponderazione. LA SOLIDARIETÀ O C’È SEMPRE O NON C’È MAI. E dispiace che per una sorta di “campanilismo amorale” eminenti intellettuali e filosofi partenopei vogliano coprire manchevolezze e responsabilità di alcuni accusando altri di scarsa solidarietà. Se poi per solidarietà si intende coprire di rifiuti una zona che ha la sola colpa di essere scarsamente “antropizzata” e alla stessa zona destinare risorse e provvidenze per quanto compete alla popolazione residente, forse mi sembra una soluzione alquanto sbilanciata.

Qualcuno aveva chiamato le zone interne “le terre dell’osso”, sottolineandone le difficoltà di vita delle genti che vi abitano e le contrapponeva alla “polpa” delle aree costiere, più ricche di vantaggi e opportunità: anche questa lezione è andata perduta, o meglio forse occorrerà aggiornarla. Le parole sono pietre, disse Primo Levi, ma in questo caso sono immondizia.

Riusciranno i nostri campioni a sventare un’altra tragedia, che come una bomba ecologica ci colpirà per “ragioni umanitarie”?

DULCE BELLUM INEXPERTIS

Mai come in queste ore è bene tenere a mente il detto di Erasmo da Rotterdam (noto pacifista e comunista ante litteram, giàattenzionato” a suo tempo da Chiesa romana e regnanti vari). Dulce bellum inexpertis, ovvero la guerra è invocata da chi non ne ha fatto esperienza e non ne conosce la ferocia e crudeltà dei cosiddetti “effetti collaterali”, tanto da definirla dolce. Per di più conviene intendersi sulle definizioni e gli aggettivi che si vogliono affiancare alla parola guerra: guerra umanitaria; è quasi un ossimoro che ha tanti nefasti precedenti. Guerra umanitaria è una definizione niente meno che di Hitler e la prima “guerra umanitaria” della storia poi finì con “50 milioni di morti per Danzica”. Ma come sempre dietro tanta filantropica bontà della novella Santa Alleanza vi sono interessi sempre meno umani (o umanitari) e sempre più di mercato (come è poi per tutte le guerre da che mondo è mondo).





PACE, SEMPRE E COMUNQUE!

Non è questa la strada.

Fukushima mercoledì scorso. L'incidente ha reso necessaria la dichiarazione di emergenza nucleare e l'evacuazione degli abitanti della zona circostante in un'area del raggio di tre km, in seguito estesa a 10 e successivamente 20 km, per un totale di circa 200.000 persone evacuate. Nel raggio di 30 km è stato raccomandato agli abitanti di non uscire di casa, ed è stata istituita una no-fly zone. Nel corso dei primi due giorni almeno 11 persone sono rimaste ferite, hanno accusato malori o sono state ricoverate per una eccessiva esposizione alle radiazioni.


Cernobyl 26 aprile 1986. Una nube di materiali radioattivi fuoriuscì dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale che furono pesantemente contaminate, rendendo necessaria l'evacuazione e il reinsediamento in altre zone di circa 336.000 persone. Nubi radioattive raggiunsero anche l'Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori, raggiungendo anche l'Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l'Austria e i Balcani, fino anche a porzioni della costa orientale del Nord America

28 marzo 1979 - Incidente nella centrale di Three Mile Island.



150, ma non li dimostra. AUGURI ITALIA!


In questa ricorrenza, senza essere retorici, un poco di amor patrio non guasta. Ci sarebbero molti spunti per polemiche e litigi, ma almeno per oggi mettiamoli da parte. E sempre in uno spirito di italianità, per chi volesse approfondire il testo del Canto degli Italiani, si può consultare il link:

http://www.quirinale.it/qrnw/statico/simboli/inno/inno.htm

Concerto per l'unità d'Italia



Concerto nella chiesa di San Nicola



Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò


Fratelli d'Italia
Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria.

L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.

Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana.

Il poeta
Goffredo Mameli dei Mannelli nasce a Genova il 5 settembre 1827. Studente e poeta precocissimo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al mazzinianesimo nel 1847, l'anno in cui partecipa attivamente alle grandi manifestazioni genovesi per le riforme e compone Il Canto degli Italiani. D'ora in poi, la vita del poeta-soldato sarà dedicata interamente alla causa italiana: nel marzo del 1848, a capo di 300 volontari, raggiunge Milano insorta, per poi combattere gli Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei bersaglieri.

Dopo l'armistizio Salasco, torna a Genova, collabora con Garibaldi e, in novembre, raggiunge Roma dove, il 9 febbraio 1849, viene proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, è sempre in prima linea nella difesa della città assediata dai Francesi: il 3 giugno è ferito alla gamba sinistra, che dovrà essere amputata per la sopraggiunta cancrena.

Muore d'infezione il 6 luglio, alle sette e mezza del mattino, a soli ventidue anni.
Le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.


NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE.

C'era già chi aveva previsto tutto questo con largo anticipo; dal canto sesto del Purgatorio:

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!

Ma si potrebbe anche aggiungere come disse qualcun altro qualche secolo dopo: "Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa. ".
Mi sembra che ci abbiano preso tutti e due, o no?




PER I GIORNI A VENIRE

Le parole che seguono sono di Francesco Guccini e sono state scritte nel 1993: strano a dirsi, ma è proprio così. Meditiamoci sopra che non fa male!





Nostra Signora dell'Ipocrisia



Alla fine della baldoria c'era nell'aria un silenzio strano
qualcuno ragliava con meno boria e qualcun altro grugniva piano.
Alle sfilate degli stilisti si trasgrediva con meno allegria
ed in quei visi sazi e stravisti pulsava un'ombra di malattia.

Un artigiano di scoop forzati scrisse che Weimar già si scorgeva
e fra biscotti sponsorizzati vidi un anchorman che piangeva
e poi la nebbia discese a banchi ed il barometro segnò tempesta
ci svegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa.


Il Mercoledì delle Ceneri ci confessarono bene o male
che la festa era ormai finita, è ormai lontano il Carnevale.
E proclamarono penitenza e in giro andarono col cilicio
ruttando austeri:" ci vuol pazienza, siempre adelante, ma con juicio ".


E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell'Ipocrisia
perché una mano lavasse l'altra, tutti colpevoli e così sia
e minacciosi ed un po' pregando incenso sparsero al loro dio
sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io.

La domenica di mezza Quaresima fu processione di etere di stato
dai puttanieri a diversi pollici, dai furbi del "chi ha dato, ha dato".
Ed echeggiarono tutte le sere come rintocchi schioccanti a morto
Amen, Mea Culpa e Miserere, ma neanche un cane che sia risorto.

E i cavalieri di tigri a ore e i trombettieri senza ritegno
inamidarono un nuovo pudore, misero a lucido un nuovo sdegno
si andò alle prime con casto lusso e i quiz pagarono sobri milioni
e in pubblico si linciò il riflusso per farci ridiventare buoni.

Così domenica dopo domenica fu una stagione davvero cupa
quel lungo mese della quaresima rise la iena, ululò la lupa,
stelle comete ed altri prodigi facilitarono le conversioni
mulini bianchi tornaron grigi, candidi agnelli certi ex leoni.

Soltanto i pochi che si incazzarono dissero che era l'usato passo
fatto dai soliti che ci marciavano per poi rimetterlo sempre là, in basso.
Poi tutto tacque, vinse ragione, si placò il cielo, si posò il mare,
solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, tornò a pensare